Fuori da un evidente Faletti

Non è la prima volta che scrivo qualcosa sul “fenomeno Faletti”.
In effetti mi aveva incuriosito la critica unanimemente favorevole dei media e di quasi tutti gli addetti ai lavori. Insomma mi aveva colpito l’entusiasmo di Augias ed altri che parlavano di Faletti come di un grande scrittore se non del più grande scrittore italiano vivente.
Mi chiedevo perchè mai un comico, anche se con spiccate attitudini all’arte dell’espressione drammatica, come dimostrato in varie occasioni:

– una bella canzone scritta per un festival di Sanremo (e cantata sempre da lui, da cani).
– canzoni scritte per Milva, l’assurdamente rossa pantera di Goro assurta al ruolo permanente di interprete brechtiana per eccellenza, dopo aver calcato le scene delle balere dell’Emilia a suon di “mare nel cassetto”.

potesse diventare un così grande scrittore da un giorno all’altro, dal primo libro.
L’argomento mi interessa perchè è termometro della mentalità dominante in questi nostri tempi.
Non ho niente contro Faletti, anzi, in un certo senso lo ammiro per l’intraprendenza e per l’impegno profuso nelle sue attività.
Quello che mi fa specie però è la leggerezza e la superficialità della società e di conseguenza della cultura che questa esprime.
D’altronde sto parlando di una società che investe parecchio per fare diventare un divo dei reality Azouz. Spacciatore o ex spacciatore di droga e chissà cos’altro ancora e per questo rinchiuso anche in galera. Una società che bolla come reato ripugnante lo spaccio della droga, ma non si vergogna di rimangiarsi quel giudizio se chi lo ha commesso è un giovane immigrato con il volto fotogenico, pare.
Naturalmente non sto accomunando il bravo Faletti a uno spacciatore di droga, almeno, io no!
Soltanto per fare capire come la nostra società sia ingenua, superficiale, pressapochista, lassista, in tutte le sue espressioni.
Dallo spettacolo, all’arte, alla giustizia, alla politica. Niente si salva.
Del primo libro ‘Io uccido’ avevo già parlato mettendo in evidenza i limiti di Faletti come scrittore e tanto meno come grande scrittore. Il secondo l’ho saltato, pur avendolo letto sempre per l’interesse al fenomeno.
Nell’ultimo libro ‘Fuori da un evidente destino’, il terzo della serie, il nostro mostra evidenti segni di cedimento. La storia – nonostante la pretenziosità, lo sfoggio di nomi di luoghi dei quali si vuol fare credere la completa conoscenza, anche a livello di costumi e di retrocultura – è dilatata come un impasto di farina tirato al mattarello e cede in molti punti. E’ migliorata la costruzione dei periodi, ma rimane il grande difetto di fare pensare tutti i suoi personaggi protagonisti in grande o comunque tutti nello stesso modo. Ovvero non ha la capacità o la volontà di fare, quello che deve fare qualsiasi autore che si rispetti. Che sia autore di libri, di commedie o di piece teatrali: dare ad ogni personaggio la sua propria caratteristica. Ovvero ci riesce fino ad un certo punto, ad esempio nella descrizione fisica e caratteriale. Poi la sensazione è che tutti pensino con i suoi stereotipi e le sue similitudini, sempre, questi, esagerati, sia gli uni che le altre.
Deve averlo colpito la lettura di qualche buon autore che crea parecchie situazioni sia di tempo che di luoghi. Infatti lo fa sempre anche lui, dimostrando una buona fantasia. Ma è sempre necessario saltare di palo in frasca? E provare a scrivere una storia seguendo sempre lo stesso filo? No?
In questo libro, come negli altri, si dilunga in descrizioni di situazioni e paesaggi che a me pare servano soltanto per creare un libro voluminoso. Spesso queste descrizioni, come ho già detto anche per il primo libro, su di me sortiscono l’effetto contrario a quello evidentemente cercato dall’autore, ovvero distraggono dalla storia perchè a mio avviso sono comunque descrizioni forzate e non naturali. Insomma fanno sì che continuando a leggerle scemi l’interesse e si smorzi contemporaneamente la “tensione” della storia.
La storia come sempre appartiene al mondo della fantasia, come le altre, non ha niente di reale e neppure di realistico, a parte, come dicevo, i luoghi in cui queste si svolgono.

Conosco una persona molto presuntuosa e molto ignorante che si vanta di scrivere delle cose geniali. Questa persona coniuga il verbo DARE al congiuntivo imperfetto dicendo e scrivendo: se io dassi. Invece che: se io dessi. Ma questo è solo un piccolo esempio del vasto campionario di spropositi che questa persona consuma giornalmente.
Un giorno mi ha fatto leggere un suo scritto che pensava fosse un altro dei suoi pezzi geniali.
A parte le esagerazioni e i grossi voli di fantasia elementare scritti esclusivamente per stupire, non ci trovai nient’altro. E glielo dissi. Naturalmente ci rimase male e mi disse che per lui i grandi nelle arti sono coloro che riescono a stupire. Mi portò come esempio i quadri di Picasso.
Gli risposi semplicemente che per essere in grado di poter stupire il pubblico – ammesso che ci si riesca – prima, come Picasso stesso, si devono sapere fare più che bene le cose semplici e comuni. Altrimenti quelli che lui considera suoi capolavori sono semplicemente delle cose senza nessuno spessore.
Sono sempre stato di questo parere: è molto più difficile scrivere una cosa tanto bene da farla apparire semplice, comune e scorrevole, che scrivere delle cose esagerate e pretenziose. Queste ultime spesso non hanno parametri, nè criteri di valutazione e altrettanto spesso sono frutto del vuoto o dell’ignoranza o al massimo di una documentazione approssimativa e superficiale.

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