Storia di un impiegato

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Succede che, a volte, nelle persone subentri un po’ di malumore o anche depressione. Difficile capire bene quando l’uno sconfini nell’altra. Spesso questo avviene quando si arriva ad un’età nella quale si possono cominciare a fare dei bilanci; quando sai perfettamente che non hai più il tempo di progettare, né di ambire. Devi solo accontentarti di gestire quello che hai ottenuto nella e dalla vita. Allora fai i conti del dare e dell’avere e spesso ti accorgi che la colonna dell’avere è in passivo, perché il dare è stato maggiore.

Ti rendi conto che hai iniziato una vita, da ragazzo, senza nessuna preparazione, smettendo presto di andare a scuola perché desideravi andare subito a guadagnare qualcosa. Ben presto hai dovuto accorgerti che quella libertà di lavorare (portare caffè in giro per gli uffici) significava solo portare qualche lira a casa per poi farti dare i soldi per il cinema e qualche sigaretta. Si susseguono vari lavoretti e intanto cominci a studiare la sera per prenderti il “pezzo di carta” pur di entrare con qualche misero titolo nella società. Esami da privatista, sempre, fino all’unico esame universitario in una materia che ha pochissimo a che fare con la praticità della vita.

Passi da una vita da ragazzotto inutile a una vita da giovane marito, ancora inutile. Poi padre, inutile. Raggiungi forse, finalmente una certa maturità e inizi ad essere più consapevole di te stesso. Ma la prima parte della tua vita l’hai già buttata, vivendola in un pieno, automatico, conformismo, e cerchi di nasconderla con le zampette come fanno i gatti coi loro escrementi, per riprenderla meglio in mano. Ma ritorna coi ricordi, che non si possono seppellire. Ritorna con l’astio di una figlia che non ti vuole vedere da anni e anni perché – nonostante come se la voglia raccontare – ha trovato comodo lo status di figlia di genitori separati, utilizzandolo per eliminare il padre dalla sua vita, pur sempre qualcuno a cui rendere conto delle azioni di bambina e poi ragazza e poi mamma…

Nel frattempo qualche modesta velleità artistica e poi letteraria. Qualcosa che la gente chiama “qualche soddisfazione”… Ma de che? Senza tralasciare mai di portare un reddito sicuro, o quasi, a casa, prima ai genitori, poi alle mogli.

Il tempo passa. Non sei più quel ragazzo del bar, hai avuto diverse esperienze lavorative. Ti sei costruito qualcosa, a fatica, ma qualcosa c’è. Fino a quando non ricevi l’ultima delusione, te, che non pensavi mai si potesse vivere senza il lavoro, che hai frequentato per tutta la vita e pensavi fosse uno stato imprescindibile della vita stessa: la crisi economica ti lascia a casa, ti mette in pensionamento anticipato, con varie difficoltà e parecchi mesi senza reddito alcuno, se non quello derivante dall’essere stato una formica da sempre.

Adesso dovresti essere a posto. Certo… con tutti i se e tutti i ma, ma a posto, circa, quasi…

Ma a cosa è servita la mia vita? A cosa serve adesso?

Ma de che???

P.S.

Ogni riferimento a cose e persone realmente esistenti è puramente casuale.

IL CRONISTA

Storia di un impiegato

 

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4 Risposte a “Storia di un impiegato”

  1. Lo scopo della tua vita è parlare male della Fornero & Co.

    Qui si batte la fiacca, quindi poche seghe e
    cerca di darti da fare!

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