Quando ho conosciuto Roberto Vecchioni

(Dal libro di Gaetano Rizza “Nato negli anni Cinquanta: Da Genova a Vittoria, da Vecchioni a De André, dal monte Ararat a Capo Nord, tra incubi e realtà”)

IO E ROBERTO VECCHIONI

In quell’epoca andai a trovare a Milano nella scuola presso cui insegnava, il liceo Beccaria – dopo averlo chiamato – il professor Vecchioni.

No, non è stato un gesto da paragonare a quello di una ragazzina che stravede per il suo idolo, come pure mi è stato rimproverato. A quel tempo lui era sì apprezzato, ma non era certo un cantautore popolarissimo, aveva un suo pubblico, e c’ero anch’io che avevo già dei suoi dischi. Era un cantautore relativamente per pochi anche se aveva già fatto delle canzoni che ottennero grande successo, come per esempio Samarcanda.

Avevo ascoltato delle sue canzoni, allora quasi sconosciute ai più, che pensavo potesse aver scritto solo dopo aver captato in qualche modo la mia “malattia”. Ne elenco qualcuna tra le tante, ma significative: L’ultimo spettacolo, Sestri Levante, Figlia, Il Re non si diverte, Sabato stelle, Pagando s’intende, Pesci nelle orecchie. E volli conoscerlo, volli parlargli, nella mia convalescenza.

Ma vale la pena che racconti dall’inizio.

Non ero ancora del tutto guarito, nonostante fossero ormai passati tre anni dalla soluzione finale del mio matrimonio. Saltuariamente mi trovavo con un mio amico, Cesare (in realtà battezzato Cesarino), a casa sua per delle questioni. Mentre parlavamo c’era un sottofondo musicale. Dopo un po’ di volte che ero andato a casa sua e che avevo ascoltato quel sottofondo musicale, come dire… non proprio allegro, un giorno capii che le parole di quella canzone mi erano entrate dentro e gli chiesi: «Ma chi è ’sto rompicoglioni?».

Stava raccontando la storia della mia separazione con gli stessi stati d’animo che avevo vissuto: «Perché t’aiuto io ad andare non lo sai, se questo a chi si lascia non succede mai, ma non ti ho mai considerata roba mia, io ho le mie favole, e tu una storia tua».

Il tutto inframezzato con citazioni epiche e accompagnato da una musica drammatica che più non si sarebbe potuto.

«È Vecchioni», rispose. Da allora seguii sempre quel cantautore e scoprii altri suoi testi che raccontavano la mia storia che, in fondo, è la storia di tanti. Mi misi in testa che dovevo assolutamente parlare con quell’uomo che insegnava lettere antiche al liceo Beccaria a Milano. Di giorno insegnava e di sera faceva i concerti.

Una mattina cercai il numero telefonico del liceo Beccaria, presi il telefono e feci il numero: «Pronto, buongiorno, sono Gaetano… da Genova, vorrei parlare col professor Vecchioni».

«Sta facendo lezione… attenda». Mi dissi che non era possibile che forse tra un minuto avrei parlato davvero con l’autore de L’ultimo spettacolo.

«Pronto? Chi parla?».

«Ma sei Vecchioni??? Roberto Vecchioni?». Capì subito che ero un rompicoglioni, ma la prese bene, e dopo qualche minuto di conversazione mi propose di andare a trovarlo, gli risposi che sarei partito anche immediatamente. Così ci demmo un appuntamento per qualche giorno più in là, a mezzogiorno davanti al Beccaria.

Arrivò il giorno. La sera precedente andai a dormire in Piemonte da mia mamma per iniziare la marcia di avvicinamento a Milano.

La mattina partii in macchina alle sette per essere sicuro che sarei stato ad attenderlo a mezzogiorno esatto davanti al liceo. Era gennaio, lo stesso gennaio del Capodanno ad Assisi, nel 1986, e quel giorno nevicava. Alle nove ero già davanti all’entrata del liceo. Per far passare il tempo mi misi a passeggiare nei dintorni e, passando sotto i finestroni della scuola, lo vidi dietro i vetri, in corridoio. Mi sbracciai per attirare la sua attenzione, capì chi fossi e mi fece cenno di raggiungerlo all’interno della scuola. Lo raggiunsi, lo abbracciai e visto che era l’ora dell’intervallo andammo in un baretto lì vicino per fare colazione. Io presi un cappuccino, lui un Martini. Lo riaccompagnai a scuola per rivederci alla fine delle lezioni a mezzogiorno. Uscì puntuale e mi disse: «Salta in macchina! Andiamo a prendere un aperitivo».

Non saltai, ma presi la mia auto e lo seguii fino a un bar dove pare si fermasse ogni volta, quando usciva da scuola. Ci sedemmo. Presi un analcolico, lui di nuovo un Martini, e ne prese altri due o tre nel corso di quell’oretta e mezza.

Gli parlai del mio periodo nero, di come lo stavo superando, delle sue canzoni, del fatto che, per cuccare, il mio argomento preferito era lui, coi suoi testi, e che in questo modo a Genova gli avevo creato un seguito. Lui mi parlò un po’ della sua vita, del fatto che per dei periodi non s’interessava alla musica leggera e ascoltava solo musica classica, e mi accennò anche del suo sogno inconfessato di sentire la sua canzone Luci a San Siro cantata da Frank Sinatra che, a pensarci bene, potrebbe essere proprio la morte sua – come si dice – di quella canzone, ma aggiunse che non sapeva come fare per contattarlo, gli dissi di fare come avevo fatto io per contattare lui.

«E cioè?».

«Ti ho telefonato».

«Ah, dici, in proporzione?».

«Sì».

Prima di andarcene si fece portare dei foglietti dal ragazzo del bar e, da buon autore di testi di canzoni, scrisse un pensiero per ognuno di coloro di cui gli avevo parlato. Ne scrisse uno anche per me:

A Gaetano

che viene e va, corre sui suoi pensieri, rincorre il passato prossimo e ricorda quello remoto. A Gaetano che ha paura dei suoi sentimenti,

ma li sente forti e comunque continui. A Gaetano e ai suoi denti che sorridono,

a Gaetano e a sua figlia, a sua moglie, ai suoi sogni, da un amico occasionale, che comunque c’è

quando c’è bisogno.

Roberto Vecchioni

E uno per mia figlia:

A Mirella,

per quando ascolterà le cose che suo padre ama e che Roberto ha voluto amare.

Roberto Vecchioni

(Dedica con autografo di Roberto Vecchioni a Gaetano Rizza)

Tornai a Genova con quei foglietti e li distribuii ai destinatari di quei pensieri: compagni e compagne di classe, insegnanti e figlia, come se fossero le tavole della legge.

Andai a trovarlo a Milano altre volte, lo vidi ancora in occasione dei suoi concerti a Genova, prima o dopo il concerto. Una volta all’Acquasola (giardini di Genova) ci portai anche la mia ex moglie, ma si vergognò di entrare con me nel suo camerino, entrò una mia amica, che era con noi; anche se lo scopo della visita in camerino era quello di fare parlare Vecchioni con mia moglie, ex moglie.

Un’altra volta al teatro Margherita, prima di un concerto, entrai nel suo camerino – dopo averlo chiamato al telefono ed esserci messi d’accordo – e gli presentai la giovane donna che stava per diventare la mia seconda moglie, Maria. Capì che ormai stavo guarendo. In quell’occasione nel camerino entrò anche Anna Oxa per salutarlo – da poco tempo aveva portato al successo una bellissima canzone scritta da lui, A lei – all’epoca abitava a Genova perché compagna di uno dei New Trolls. I grandi New Trolls dei quali non potrò mai dimenticare la “sensazione” di quando ascoltai per la prima volta nel 1966 o nel 1967 la loro canzone Sensazioni alla radio, da ragazzo.

Gaetano Rizza

(Dal libro di Gaetano Rizza “Nato negli anni Cinquanta: Da Genova a Vittoria, da Vecchioni a De André, dal monte Ararat a Capo Nord, tra incubi e realtà”)

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